Il San Carlo di Napoli ama collezionare primati: non è, infatti, solo uno dei teatri lirici più famosi e prestigiosi del globo, ma anche tra i più antichi teatri d’opera chiusi d’Europa e del mondo ancora attivi (se non il più antico in assoluto, essendo stato fondato nel 1737 anticipando di una cinquantina d’anni La Scala di Milano e La Fenice di Venezia) e il più capiente teatro all’italiana dello Stivale.
Vanto e orgoglio per la città di Napoli, oltre che suo tassello identificativo, possiede una storia costellata di meraviglie e tragedie, come ogni luogo storico che si rispetti, e le sue vicende si intersecano ai personaggi che, dal Settecento in poi, si sono ritrovati ad intersecare la sua strada, direttamente o indirettamente.
Una storia lunga e articolata
Ripercorrere l’intero cammino che ha portato il San Carlo dal 1737 ad oggi sarebbe un’impresa quasi impossibile, ma possiamo provare a riassumere i fatti salienti per contestualizzare il suo ruolo non solo all’interno della cultura partenopea, ma nel mondo.
La prima pietra del teatro, eretto su commissione esplicita di Re Carlo di Borbone, venne posta esattamente 41 anni prima della nascita del Teatro alla Scala di Milano e ben 55 in anticipo su La Fenice di Venezia: il progetto fu affidato all’architetto e ingegnere (nonché militare) Giovanni Antonio Medrano e al direttore del Teatro San Bartolomeo (teatro d’opera napoletano edificato nel 1620, a cui il San Carlo rubò completamente la scena), Angelo Carasale; in soli 8 mesi si riuscì ad edificare un’opera mastodontica, con una sala lunga oltre 28 metri e larga oltre 22, 184 palchi, un palco reale per dieci persone e 1379 posti a sedere.
I primi quattro anni furono messi nelle mani del Casarale: sul palco si succedettero danzatori, ugole d’oro ed evirati; si arrivò, così, al momento della Scuola Napoletana, alle influenze importanti (Mozart restò affascinato da Napoli, al punto da sceglierla come ambientazione del primo atto di “Così fan tutte”) e alla Rivoluzione Partenopea del 1799 che stravolse, in un certo senso, anche il teatro, che venne addirittura ribattezzato come “Teatro Nazionale di San Carlo” e utilizzato dai popolani come luogo simbolo della rivolta; il movimento, come ci racconta la storia, venne represso nel sangue e i Borbone tornarono sul trono, ma questa breve fase lasciò, comunque, tracce indelebili.
In un batter d’occhio siamo già nell’Ottocento, in una fase di splendore coadiuvata anche dal momento storico del Grand Tour, quando intellettuali di tutto il continente sceglievano, tra le tante mete europee, anche Napoli per acquisire nuove conoscenze in campo artistico e culturale.
Fu l’epoca di Murat al trono, della gestione di Domenico Barbaja, delle stagioni dirette da Rossini e Donizetti e di una ristrutturazione importante (a cura dell’architetto e scenografo Antonio Niccolini, caposcuola del Neoclassicismo partenopeo) che avrebbe dato all’edificio la fisionomia odierna: il teatro non era più solo “reale”, ma del popolo e si faceva messaggero della lirica a Napoli attraverso più classi sociali.
La sfortuna, però, non tardò ad arrivare: nel 1816, infatti, un incendio devastò l’intera struttura, lasciando in piedi poco più dei muri perimetrali; in 9 mesi, Niccolini riuscì a far risorgere il San Carlo dalle proprie ceneri, occupandosi successivamente anche di altre opere di manutenzione e ristrutturazione. Il sipario dipinto e i bassorilievi pregiati trovarono ancora dei nemici, però, lungo il corso del tempo: il Novecento portò con sé due guerre mondiali di cui la seconda si rivelò fatale per il teatro, che si ritrovò colpito in pieno da un bombardamento. Per la ricostruzione, in quel frangente, si dovette aspettare necessariamente il dopoguerra.
Oggi
Ai giorni nostri si continua a parlare di “effetto San Carlo” perché il teatro ha sempre rappresentato un fulcro importante nel panorama musicale napoletano, europeo e mondiale: Rossini, qui, ha firmato la sua prima opera e Donizetti addirittura 7; Bellini, Paganini, Mercadante, Verdi sono solo alcuni dei grandi artisti ed autori che si sono succeduti sul palco del Real Teatro, insieme a tanti direttori d’orchestra, ballerini e registi.
Un perno importante intorno al quale gira e si articola ancora la vita della Napoli bene e di quella popolare ma, soprattutto, del turismo culturale della città.