Dopo oltre un anno alla deriva nelle acque del Pacifico fino all’Alaska, trascinato via dal potente tsunami dell’11 marzo 2011, un pallone da calcio ha ritrovato il suo proprietario, in Giappone. La notizia ha dell’incredibile. Di tutta la vicenda, che a fatica strappa qualche sorriso, dato il dramma che le fa da sfondo, rimane un dato di fatto: il pallone è viaggiatore. Pensate a tutti i palloni che si perdono a mare e che vengono trasportati lontano dal poveretto che ci stava giocando: dove vanno a finire? Dove li porta quest’arteteca corsara, fin dove li spinge questo spirito avventuriero, figlio di una ovvia curiosità “artetecosa”. Domande prive di risposta: il pallone va come un emigrante senza biglietto, si fa trasportare dalle correnti.
Anzi la storia del pallone disorientato e improvvisamente aperto alla mondanità, per le drastiche modalità con cui si affaccia al globo, pare ripetere l’evoluzione vitale di certi individui che dotati di qualche titolo ma sprovvisti di sostanza, si avviano verso insoliti lidi (il giornalismo, la televisione, la cultura…). Torniamo al nostro sferico superstite, anzi al suo padrone: «Non ho dubbi che sia mio», commenta Misaki Murakami, uno studente di 16 anni della città di Rikuzentakata, colpita dall’onda anomala dell’anno scorso. Il pallone ritrovato conservava ancora la scritta col nome del ragazzo, come si usa a quell’età. Era approdato sulla costa di Middleton Island, al largo dell’Alaska. Secondo dato di fatto: l’arteteca resiste all’acqua e alle basse temperature. Terzo dato di fatto: viaggiare per derive e senza un precisissimo scopo può rivelare dinamismi inediti, approdi inimmaginabili che poi sono le cose che rendono un viaggio un’esperienza indimenticabile. Meno obiettivi prefissati per maggiori sorprese in tempo reale. Potrebbe essere un consiglio.